Intermezzi visivi, impressioni in divenire

Alice Tavoni

Le acqueforti di Fabrizio Pizzanelli svelano scenari al contempo densi e dilatati, nutriti da una vegetazione talmente presente da occupare, alle volte, la quasi totalità della superficie dell’opera, in un lirismo insieme urbano e bucolico. Luoghi impreziositi da architetture mai abbandonate al degrado e, solo do rado, attraversati da figure che, inafferrabili, subito svaniscono, rivelandosi per pochi istanti. Comparse i cui tratti del viso restano inaccessibili allo sguardo. Bambini, di spalle, a rincorrersi nel territorio lontano, inespugnabile e giocoso del loro universo esclusivo.

Un uomo a passeggio in un ipotetico inverno a Marina di Pisa, imprigionato dentro un cappotto così ingombrante da sovrastarne il volto, non definito neppure in quel minuscolo spicchio di spazio, volutamente bianco, dentro il quale sarebbe stato possibile restituirgli un’identità espressa. E – nell’eco dell’indimenticabile Ragazzo seduto in riva al mare tracciato su zinco da Giovanni Fattori – due figure di fronte all’oceano, immobili, distanti, smarrite quasi in quell’immensa vastità.

In ogni paesaggio di Pizzanelli aleggia un riferimento impalpabile e potente all’idea di negazione, il richiamo a un’assenza annunciata che, come nei giochi d’infanzia, conduce l’occhio a riscoprire, dopo l’attimo dello sconcerto, un divertito senso di sollievo nel recupero di ciò che pareva irrimediabilmente perso. E affiora quasi sempre, seppur non rappresentata, la consolazione del lieto fine. Come nel sentimento di sospensione evocato dalla panchina vuota – nell’opera intitolata La casa di Sandra – sulla quale ci si attende che qualcuno, da un momento all’altro, debba necessariamente sedersi. La fantasia di chi guarda è dunque continuamente invitata – tra archi, gazebi, viali, argini, spiagge, radure – al desiderio istintivo di completare il puzzle con un’ultima rassicurante tessera. O a quello, più audace, di cedere al turbamento varcando il confine inquieto dell’inespresso, addentrandosi idealmente oltre la saracinesca chiusa protagonista dell’incisione Grande glicine e garage.

Nel segno grafico di queste tavole si legge, dal punto di vista tecnico una ‘perizia naturale’  - in un ossimoro solo apparente – dalla quale è intuitivo dedurre la profonda competenza di chi, nato e cresciuto in una famiglia di artisti, sembra aver da sempre respirato i profumi di carte, inchiostri, tempere e pastelli.

Pizzanelli consolida così, nel tempo, la propria separata identità poetica, facendo tesoro degli insegnamenti del nonno Ferruccio – importante artista pisano del primo Novecento che seppe conciliare la vivace partecipazione alla vita culturale della città con continue, stimolanti esperienze nei maggiori centri artistici nazionali e internazionali – e dello zio Leonardo, dal quale apprende la tecnica dell’incisione calcografica. Come pure fondante della sua formazione risulta, parallelamente, la lezione grafica rappresentata dalle opere di Giuseppe Bartolini e di Giordano Viotto.

Dal perfetto equilibrio espressivo che caratterizza ciascuna delle acqueforti esposte in mostra, si evince la solida abitudine a non lasciare niente al caso, calibrando senza fretta ogni scelta, in una paziente dialettica tra ideazione compositiva, elaborazione incisoria e procedimento di stampa.

L’artista giunge alla resa ultima e definitiva di ogni suo lavoro dopo un accorto processo di riflessione e di costruzione grafico/spaziale prodotto su lastre esclusivamente in rame, incise con percloruro di ferro e stampate, con straordinario spirito di collaborazione, dall’amico Umberto Peroni nella stamperia “Atelier Antico Torchio” di Reggello, nei pressi di Firenze. Un rapporto, quello tra Pizzanelli e il suo stampatore, consolidato negli anni, una confidenza amicale e professionale che restituisce, sul foglio, quell’altissimo grado di stabilità narrativa che mai tradisce momenti di cedimento. Pure nel tenue gioco del cromatismo – modulato con ponderata oculatezza – attivato dall’inserimento dei fondini colorati che, anziché alterare l’effetto di sospensione evocativa dell’attimo raffigurato, ne potenziano, se vogliamo, la natura intrinsecamente onirica, amplificandone i contenuti e moltiplicandone le implicazioni.

Una dimensione di attesa non risolta pervade questi panorami, colti nell’intervallo incerto di un esito che sta per palesarsi. E così mi piace aspettare, con curiosità, quali nuove quinte potranno schiudersi nell’inventiva fantastica di Fabrizio Pizzanelli, quali altri scenari vorranno manifestarsi. 

Dal catalogo “Quotidiane rarefazioni, acqueforti di Fabrizio Pizzanelli”

ETS edizioni, Pisa 2016, stampato in occasione della mostra tenutasi al Museo della Grafica di Pisa